Richiedi ora la migliore consulenza

L’autotutela amministrativa

Cosa si intende per autotutela?

Per autotutela si intende la capacità da parte della pubblica amministrazione di rimuovere unilateralmente ed autonomamente i limiti e gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di un interesse pubblico, incidendo su provvedimenti precedentemente emanati.

Nello specifico, l’amministrazione adotterà dei provvedimenti di secondo grado i quali andranno ad incidere su precedentemente adottati, definiti provvedimenti di primo grado.

Il suo fondamento si rinviene pertanto nella potestà generale che l’ordinamento riconosce ad ogni pubblica amministrazione di intervenire unilateralmente su ogni questione di propria competenza.

L’autotutela ricomprende due macrocategorie: quella esecutiva, diretta all’esecuzione coattiva degli atti provvedi mentali e quella decisoria attraverso cui la pubblica amministrazione esercita autonomamente un potere di rimozione di provvedimenti precedentemente adottati.

2. I provvedimenti ad effetto eliminatorio

a) L’annullamento d’ufficio

L’annullamento d’ufficio è un istituto disciplinato dall’art. 21 nonies, comma 1 della Legge n. 241/1990 il quale costituisce una forma di autotutela assoggettata a rigorose e rigide regole:

1. obbligo di motivazione;

2. concrete ragioni di pubblico interesse;

3. valutazione del legittimo affidamento delle parti;

4. rispetto delle regole del contraddittorio procedimentale;

5. obbligo di un’adeguata istruttoria.

Condizione essenziale per l’annullamento d’ufficio è l’illegittimità del provvedimento oggetto di annullamento. La verifica della legittimità dell’atto comprende i tre vizi classici vale a dire violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere.

Dunque, in capo alla Pubblica Amministrazione grava un onere di congrua ed adeguata motivazione in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’adozione dell’atto anche tenendo conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole.

Quanto alla valutazione dell’interesse alla rimozione, l’annullamento d’ufficio non può essere disposto per la sola esigenza di ristabilire la legalità dell’azione amministrativa, posto che l’interesse pubblico alla rimozione deve essere comparato con altri interessi. In tale prospettiva l’autotutela è ritenuta espressione di un potere discrezionale di ponderazione e mediazione tra più interessi ed esigenze tra loro configgenti.

Al fine di tutelare il legittimo affidamento dei privati la legge sul procedimento amministrativo prevede che il provvedimento può essere annullato d’ufficio entro un termine ragionevole e comunque non superiore a 12 mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.

Tuttavia, il comma 2 bis dell’art. 21 nonies stabilisce espressamente la possibilità di annullamento d’ufficio anche decorso il termine di 12 mesi qualora i provvedimenti amministrativi siano stati adottati sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato.

Infine, occorre precisare che sono annullabili d’ufficio solo gli atti sui quali la pubblica amministrazione conserva il potere di provvedere. Non vi rientrano, ad esempio, gli atti preparatori una volta emanati, gli atti decisori o gli atti di controllo.

b) La revoca

La revoca è un atto amministrativo di secondo grado mediante il quale viene ritirato un altro atto amministrativo non più in grado di assolvere un determinato interesse pubblico[1].

La competenza a disporre la revoca è tendenzialmente attribuita allo stesso organo che ha emanato l’atto salvo alcune eccezioni.

La revoca di un provvedimento può essere solo suffragata da ragioni di opportunità che possono riguardare:

– la sopravvenienza di motivi di interesse pubblico;

– mutamento della situazione di fatto, purché non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento;

– nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.

Sul punto, si tenga presente che può esservi sia la c.d. revoca per ius poenitendi, ossia per mutata valutazione soggettiva dell’interesse pubblico originario, sia la revoca per sopravvenienza, quando siano mutate le circostanze di fatto o di diritto alla base del provvedimento.

Così come nel caso dell’annullamento d’ufficio anche per la revoca incombe, in capo all’amministrazione, un obbligo di motivazione.

La legge sul procedimento amministrativo prevede, inoltre, un obbligo di indennizzo in favore dei soggetti che abbiano subito un pregiudizio dall’atto di revoca. Infatti, se la revoca comporti pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo.

Il legislatore ha individuato i parametri per la valutazione dell’intensità dell’affidamento, ritenendo rilevanti la conoscenza o la conoscibilità, da parte del destinatario, della contrarietà dell’atto all’interesse pubblico e l’eventuale concorso del contraente alla erronea valutazione della pubblica amministrazione.

Per le revoche incidenti su rapporti amministrativi si ritiene indennizzabile anche il lucro cessante. Inoltre, è possibile per il privato esperire anche un’azione di risarcimento del danno precontrattuale.

Ai sensi dell’art. 133 c.p.a. le controversie relative alla determinazione e corresponsione dell’indennizzo sono devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.

Infine, è doveroso precisare che esistono alcuni atti irrevocabili e sono: gli atti vincolati, gli atti ad efficacia esaurita, gli atti costitutivi di status, gli atti di diritti quesiti, i provvedimenti contenziosi, gli atti di mera esecuzione, gli atti imperfetti.

4. I provvedimenti ad effetto conservativo

La potestà della pubblica amministrazione di tornare sulle proprie decisioni non si manifesta solo attraverso l’adozione di provvedimenti volti ad eliminare l’atto invalido o inopportuno, ma anche attraverso provvedimenti di secondo grado diretti alla conservazione dello stesso, chiamati atti di convalescenza.

Ebbene, tali provvedimenti sono:

a) la convalida

Si verifica quando la pubblica amministrazione, in presenza di un atto annullabile per illegittimità, ritenga di non procedere all’annullamento ma di eliminare i vizi che lo inficiano.

Affinchè possa esservi la convalida è necessario il c.d. animus convalidandi, ossia la precisa manifestazione da parte dell’amministrazione di eliminare il vizio,  l’indicazione del vizio da rimuovere ed un’adeguata motivazione.

b) la sanatoria

Che è un provvedimento di secondo grado che implica l’acquisizione ex post di atti endoprocedimentali che dovevano essere emanati prima della conclusione del procedimento.

c) la ratifica

Consiste in un provvedimento nuovo, autonomo, costitutivo, con cui viene eliminato il vizio di incompetenza relativa da parte dell’autorità astrattamente competente, la quale si appropria di un atto adottato da autorità incompetente dello stesso ramo.

d) la conversione

Trattasi di un atto con cui la pubblica amministrazione, all’esito del riesame di un atto viziato, non annulla l’atto ma ne conserva gli effetti attraverso un processo interpretativo che sana il provvedimento invalido, trasformandolo in un atto diverso.

e) la riforma che consiste in un emendamento del vizio da cui era affetto il precedente provvedimento.

f) la rettifica

Si indica una decisione con cui la pubblica amministrazione pone rimedio ad un errore, di solito materiale, da non comportare l’invalidità dell’atto. Gli effetti operano ex tunc.

g) la conferma

L’amministrazione, chiamata a riesaminare il precedente provvedimento, ne esclude l’illegittimità e conferma la propria azione, ribadendo la piena correttezza del proprio operato.