Richiedi ora la migliore consulenza

I rischi psicosociali in ambito lavorativo

1. I rischi psicosociali in ambito lavorativo

Quello dei rischi psicosociali è uno dei temi più importanti e spinosi negli ultimi anni in ambito lavorativo.

Esso rappresenta una delle sfide principali con cui è necessario confrontarsi nel campo della salute e della sicurezza sul lavoro.

La dicitura “rischi psicosociali” è utilizzata per riferirsi sia agli antecedenti e quindi ai fattori che potenzialmente possono causare un danno sia agli esiti che si verificano a seguito di una esposizione ai fattori stessi, come ad esempio l’insorgenza di sintomi psico-fisici.

In ambito nazionale sembra prevalere la prima accezione della locuzione “rischi psicosociali”, quindi l’utilizzo con riferimento agli antecedenti.

È impossibile produrre un elenco definitivo dei rischi psicosociali.

Infatti, è pacifico che rispetto ai rischi tradizionali (quali ad esempio il rischio fisico), i rischi psicosociali abbiano la caratteristica di poter incidere negativamente sia sulla salute dei lavoratori, attraverso il processo di stress, (ad esempio procurando uno stato conclamato di stress o innescando e/o esacerbando particolari patologie, ad esempio cardiocircolatorie o psichiche) sia sulla sicurezza (ad esempio interferendo con i livelli di attenzione e vigilanza e aumentando quindi la probabilità di incidenti per distrazioni o errori).

I rischi psicosociali derivano da inadeguate modalità di progettazione, organizzazione e gestione del lavoro e da un contesto lavorativo avverso e mediocre.

Alcuni esempi di condizioni di lavoro che comportano rischi psicosociali sono: carichi di lavoro eccessivi, richieste contrastanti e mancanza di chiarezza sui ruoli, scarso coinvolgimento nei processi decisionali che riguardano i lavoratori e mancanza di influenza sul modo in cui il lavoro viene svolto, gestione inadeguata dei cambiamenti organizzativi, precarietà del lavoro, molestie psicologiche e sessuali, violenza da parte di terzi.

2. Il quadro normativo: l’art. 2087 del codice civile

Il datore di lavoro è tenuto ad attuare ogni accorgimento che sia idoneo a proteggere la persona del lavoratore, adottando tutte le misure necessarie

L’art. 2087 c.c. costituisce un punto fermo nel nostro ordinamento giuridico, pur avendo sollevato, da sempre, grossi problemi interpretativi sia in dottrina che in giurisprudenza.

L’attività lavorativa, dunque, deve essere preordinata e predisposta, a cura e sotto la responsabilità del datore di lavoro, affinché siano tutelate l’integrità fisica e morale dei lavoratori.

L’art. 2087 c.c., si configura come una norma cardine del sistema lavoristico.

Sul datore di lavoro grava, in forza dell’art. 2087c.c., un obbligo di sicurezza derivante dall’attività lavorativa da lui predisposta e nella quale il lavoratore viene ad essere inserito.

Tale obbligo sussiste sia nei confronti del lavoratore, sia verso lo Stato,  mentre la facoltà di apprestare o meno le misure tutelative del lavoratore attiene all’esercizio e all’ambito del diritto soggettivo, quale manifestazione, è vero, compresa nello stesso diritto, non avente però, carattere autonomo.

Nell’art. 2087 c.c. possiamo notare la presenza di una situazione giuridica sui generis, in cui il soggetto passivo è uno solo (il datore di lavoro), mentre i soggetti attivi sono due (il lavoratore e lo Stato), facendo assumere all’obbligo della sicurezza nell’attività una duplice veste: di natura contrattuale e di natura legale.

Più specificamente, infatti, si pone in capo al datore di lavoro l’obbligo di tutelare la personalità morale del lavoratore, oltre che la sua integrità psico-fisica. Sul datore di lavoro grava un obbligo di porre in essere una serie di comportamenti. Tali comportamenti devono essere sia positivi (consistenti nell’adozione di tutte le misure necessarie ed idonee a salvaguardare il lavoratore) che negativi (relativi al non compimento di iniziative che, comunque, possano rilevarsi pregiudizievoli per i prestatori di lavoro).

Anche le Sezioni Unite della Cassazione[1], sostengono che i principi costituzionali a tutela della persona del lavoratore siano penetrati nel dettato normativo dell’art. 2087 c.c. racchiudendo,così, l’obbligo datoriale di non porre in essere atti e comportamenti miranti alla persecuzione psicologica del lavoratore e di adoperarsi affinchè anche i propri dipendenti si astengano dal realizzare tali comportamenti nei confronti dei colleghi.

Si è andato, via via, consolidando l’orientamento giurisprudenziale alla luce della quale dall’art. 2087 c.c.. scaturisce un obbligo di controllo e vigilanza a carico del datore di lavoro,anche in merito a condotte mobbizzanti poste in essere da soggetti diversi da costui, in danno di altri dipendenti . Difatti la disposizione normativa citata impone al datore sia la tutela dell’integrità psico-fisica dei propri dipendenti, sia di non adottare e non tollerare contegni aggressivi e vessatori nei loro confronti.

Si ritiene poi,che non configurando l’art.2087 cod.civ. ipotesi di responsabilità oggettiva incomberà sul lavoratore l’onere di provare la sussistenza di comportamenti illegittimi.

In conclusione, allorquando si invoca l’art.2087 cod.civ., si deve considerare che, vi è una carenza di misure prevenzionali nell’ambito dell’azienda e, quindi, obiettivo da perseguire e da raggiungere deve essere quello di eliminare tali carenze, attraverso un’attività che attiene alla predisposizione delle misure tutelative globali del prestatore di lavoro dipendente.

E tali predisposizioni devono essere attuate non solo come obbligo contrattuale, ma anche come obbligo di natura legale, nei confronti dello Stato e della collettività[2].

In ogni caso, quindi, il datore di lavoro dovrà adeguare le macchine, gli impianti, gli ambienti, l’uso delle sostanze, i posti di lavoro alla sicurezza, mentre in secondo momento emergerà la sua responsabilità patrimoniale nei confronti del lavoratore danneggiato dal comportamento da lui tenuto nell’esercizio della propria attività produttiva[3].

Nel caso in cui il datore di lavoro abbia adeguatamente vigilato, occorrerà considerare se abbia fatto tutto quanto possibile per evitare l’insorgere del comportamento lesivo dell’integrità fisica e morale del lavoratore, mediante la predisposizione di adeguate strategie volte a prevenirlo[4].


[1]  Cass. sent. n. 20807/2016.  Fa riferimento la Corte di Cassazione in questa sentenza all’obbligo di cui all’art. 4 lettera c) del D.P.R. n. 547/1955, vigente al momento dell’evento infortunistico di cui alla sentenza in esame, in base al quale il datore di lavoro, il dirigente ed il preposto devono disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione, attuale art. 18 comma 1 lettera f) del D. Lgs. n. 81/2008 secondo il quale il datore di lavoro e i dirigenti devono richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione.

[2] Cass., 22 aprile 1963, n.1013, in Resp.civ. e prev., 1963, pag. 482.

[3] V. Cass, 7 marzo 1962, in Mass. Cass. Pen., 1962.

[4]Corradini I. – Lambertucci P., Linee guida per la prevenzione del mobbing, codici etici e ruolo della contrattazione collettiva, p.35 ss.