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La penalità di mora nel giudizio di ottemperanza
Per giudizio di ottemperanza si intende un particolare strumento disciplinato dagli artt. 112 e ss. del D.lgs n. 104/2010 al fine di ottenere l’esecuzione di una sentenza pronunciata nei confronti della Pubblica Amministrazione sulla quale grava un obbligo di conformarsi.
Infatti, all’esito di un giudizio amministrativo o civile, l’amministrazione soccombente potrebbe restare inerte rispetto a quanto previsto dalla sentenza passata in giudicato.
Pertanto, la realizzazione della pretesa del ricorrente trova soddisfazione grazie al giudizio di ottemperanza.
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La penalità di mora nel giudizio di ottemperanza
La penalità di mora è un istituto giuridico di derivazione francese (astreintes) regolato dall’art. 114 comma 4 lett. e) del D.Lgs n. 104 del 2010 ai sensi del quale “salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato”.
Trattasi, dunque, di una misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario, avente carattere sanzionatorio, attraverso cui il Giudice mira a colpire ogni ritardo nell’adempimento da parte dell’amministrazione debitrice.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la natura giuridica di tale istituto è da rinvenirsi nella necessità di integrare uno strumento “di pressione nei confronti della Pubblica Amministrazione inadempiente”[1].
Rilevante importanza, inoltre, ha assunto una pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato circa l’ammissibilità della penalità di mora nel giudizio di ottemperanza.
Sul punto, i Giudici di Palazzo Spada hanno stabilito che “nel giudizio di ottemperanza, la comminatoria delle penalità di mora di cui all’art. 114, comma 4, lettera e), del codice del processo amministrativo è ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi per oggetto prestazioni di natura pecuniaria”[2].
[1] Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 462 del 29.01.2014
[2] Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sent. n. 15, 25 giugno 2014.