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Silenzio inadempimento: i presupposti per l’indennizzo da mero ritardo

Silenzio inadempimento: i presupposti per l’indennizzo da mero ritardo

Il silenzio amministrativo è il fenomeno dell’inerzia mantenuta dalla Pubblica Amministrazione sulle istanze rivolte dai privati.

Infatti, l’art. 2 della Legge n. 241/1990 stabilisce espressamente che “Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo”.

Il suddetto articolo 2, dunque, dispone che (salvo diversa statuizione) il procedimento amministrativo, sia se iniziato su istanza di parte sia se avviato d’ufficio, deve essere concluso con l’adozione di un provvedimento espresso entro 30 giorni.

Sul punto, autorevole giurisprudenza ha stabilito che “il principio di certezza dei rapporti giuridici impone alla P.A. di concludere il procedimento non solo con l’adozione di un provvedimento formale ma anche in tempi certi e precisi”[1].

Ciò sta a significare che, la sussistenza di un vero e proprio obbligo di provvedere in capo alla Pubblica Amministrazione entro termini specifici.

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Silenzio inadempimento: i presupposti per l’indennizzo da mero ritardo

L’art. 2 bis della legge sul procedimento amministrativo stabilisce che “le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.

Il privato cittadino, dunque, in caso di inerzia da parte della Pubblica Amministrazione può chiedere a titolo di indennizzo una somma pari a 30,00 euro per ogni giorno di ritardo sino ad un massimo di 2.000,00 euro con decorrenza dalla data di scadenza del termine di conclusione del procedimento.

Il diritto all’indennizzo è legato al “mero ritardo” e, dunque, alla sola inutile scadenza del termine per chiudere il procedimento, mentre il diritto al risarcimento per danno da ritardo, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, è legato alla spettanza del provvedimento favorevole, non essendo considerato il tempo esso stesso bene della vita[2].

Quali sono i presupposti affinché un soggetto possa essere legittimato ad ottenere l’indennizzo da mero ritardo?

Sul punto, “Va disattesa la domanda volta al risarcimento del danno ingiusto che il ricorrente assume di aver patito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, posto che il mero ritardo non è sufficiente a giustificare il risarcimento del danno se non vi è prova dello stesso, gravando la prova sul ricorrente, che deve allegare con precisione i fatti costitutivi del danno che asserisce, e non potendo ciò essere surrogato con il ricorso alle presunzioni semplici ovvero alla valutazione equitativa del danno, di cui agli artt. 2729 e 1226, cc”.

A stabilirlo è stato il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n. 7622 del 1 dicembre 2020.


[1] Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 342/2019.

[2] Cfr. R. Garofoli, Compendio di diritto amministrativo, Nel diritto editore, 2021