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“Un ambiente di lavoro stressogeno è di per sé un fatto ingiusto e come tale risarcibile”. A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione, sez. lavoro, con la sentenza del 7 giugno 2024.
All’interno di tale pronuncia, la Corte di Cassazione ha ampliato la definizione tradizionale del danno da mobbing.
In particolare, anche una “situazione lavorativa stressante” causata da comportamenti del datore di lavoro vessatori, sebbene “apparentemente leciti” o “solo episodici”, può giustificare il diritto al risarcimento. Il datore di lavoro, in questo caso, è responsabile ai sensi dell’art. 2087 del codice civile, che equilibra il diritto al lavoro e la salute del dipendente. Secondo le “corti europee centrali”, la salute deve essere intesa come “uno stato di completo benessere fisico, psichico e mentale”, e non solo come “assenza di malattia o infermità”. Con questa decisione, la Corte annulla la sentenza di appello.
La Cassazione, verificato che nel caso specifico esisteva un ambiente di lavoro stressante (con un “clima lavorativo difficile” e il “deterioramento dei rapporti professionali”), anche senza la presenza del mobbing, riconosce che i comportamenti del datore di lavoro possono configurare un fatto ingiusto risarcibile e rinvia il caso alla Corte d’Appello affinché segua questi principi.
Ambiente di lavoro stressogeno