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Il mobbing

1) Cos’è il mobbing?

La prima sentenza che ha fatto espressamente riferimento al termine mobbing risale ad oltre quindici anni fa[1] e, da allora, si può dire che il fenomeno sia stato ampiamente e approfonditamente analizzato.

Il mobbing può oggi essere inteso come un composito disegno vessatorio posto in essere sul luogo di lavoro, caratterizzato da un complesso di forme di persecuzione psicologica, molestie ed aggressioni, sistematiche e produttive di uno stato di profondo disagio nella vittima volte alla sua emarginazione[2].

Pur in assenza di una disciplina specifica, numerose sono state infatti le sentenze e gli interventi della dottrina che hanno affrontato la fattispecie, senza contare i progetti di legge, le leggi regionali, i provvedimenti amministrativi, i contratti collettivi che si sono interessati in questi anni di mobbing.

Fondamentale importanza ha avuto la sentenza della Corte di Cassazione del 2015 la quale ha sancito che “ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo, devono ravvisarsi da parte del datore di lavoro comportamenti, anche protratti nel tempo, rivelatori, in modo inequivoco, di un’esplicita volontà di quest’ultimo di emarginazione del dipendente, occorrendo, pertanto dedurre e provare la ricorrenza di una pluralità di condotte, anche di diversa natura, tutte dirette (oggettivamente) all’espulsione dal contesto lavorativo, o comunque connotate da un alto tasso di vessatore,; età e prevaricazione, nonché sorrette (soggettivamente) da un intento persecutorio e tra loro intrinsecamente collegate dall’unico fine intenzionale di isolare il dipendente” [3].

Il dibattito ha investito diversi aspetti del fenomeno, dalla tipologia di danni risarcibili, ai profili penalistici, ma il problema centrale è senza dubbio quello della definizione della fattispecie: problema di difficile soluzione.

Se da un lato, è vero che la giurisprudenza, soprattutto quella di legittimità, ha individuato con una certa chiarezza gli elementi che costituiscono mobbing, dall’altro, la dottrina ha espresso dubbi e critiche in merito a tali posizioni. Comunque, in assenza di una disciplina specifica in materia a livello di ordinamento interno, non si può escludere che tali orientamenti possano subire in un futuro cambiamenti, anche significativi.

2) Quando si configura?

Affinché possa configurarsi mobbing è necessario che sussistano una serie di elementi:

a) una serie di comportamenti a carattere persecutorio, sia illeciti ma anche leciti se considerati singolarmente ma con un intento vessatorio e posti in essere in maniera prolungata e sistematica;

b) evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;

c) nesso eziologico tra la condotta vessatoria e il pregiudizio subito dalla vittima;

d) elemento soggettivo, ossia un intento persecutorio di tutti i comportamenti lesivi.

Dunque, nel mobbing vi è la sussistenza di un disegno persecutorio nei confronti del lavoratori, attuato mediante comportamenti vessatori, lesivi dell’integrità fisica e della personalità del dipendente, protratti per un periodo di tempo apprezzabile e finalizzati all’emarginazione dello stesso.

In soccorso, vi sono state alcune importanti pronunce da parte della Corte di Cassazione la quale ha asserito che “da un punto di vista oggettivo il mobbing si caratterizza per sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico, e si caratterizzi, sul piano soggettivo con la coscienza ed intenzione da parte del datore di lavoro di arrecare danni, di vario tipo ed entità, al dipendente”[4].

Quindi, ai fini dell’accertamento della sussistenza del danno da mobbing è necessaria una valutazione complessiva dei danni lamentati dal soggetto interessati da valutarsi in modo unitario.

3) Tipologie di mobbing

È possibile distinguere 3 diverse tipologie di mobbing:

La prima tipologia è il c.d. mobbing discendente, quando la persecuzione proviene dal datore di lavoro o dai superiori gerarchici

– Vi è poi il mobbing ascendente, quando la persecuzione è attuata da un dipendente nei confronti di un superiore;

– Infine, abbiamo il mobbing orizzontale, quando la vessazione avviene tra colleghi di pari grado.

4) Rimedi per il lavoratore

Sono previste alcune forme di tutela per il lavoratore vittime di mobbing. In particolare, è possibile:

– azione di risarcimento danni sia patrimoniali che extrapatrimoniali;

– dimissioni per giusta causa;

– possibilità di rifiutarsi di adempiere la prestazione ex art. 1460 c.c.;

– azione di adempimento, al fine di ottenere la rimozione degli atti persecutori.

5) Il c.d. straining

Come anticipato il mobbing consiste in una sistematica persecuzione esercitata sul posto di lavoro da colleghi o superiori nei confronti di un dipendente.

Pertanto, un solo atto vessatorio non è sufficiente ai fini di una sua configurabilità. Tuttavia, ai sensi dell’art. 2087 c.c. è possibile un’interpretazione più estensiva dell’argomento quando le condizioni lavorative sia particolarmente stressanti.

Infatti, pur in assenza di un intento persecutorio è possibile punire una condotta di molestia unica ed isolata più tenue di quella del mobbing ma ugualmente lesiva dell’integrità psicofisica del lavoratore.

Lo straining è, dunque, una forma più attenuata di mobbing.

6) Il bossing

Il bossing è una particolare species del genus mobbing.

Esso consiste in una forma di molestia che viene attuata da un soggetto non di pari con il preciso scopo di indurre il dipendente alle dimissioni, spesso per l’impossibilità di poterlo licenziare senza dovere versare costosi incentivi all’esodo.

Si caratterizza per la pianificazione con l’obiettivo di autoeliminazione di lavoratori considerati inutili o deleteri l’azienda, prima ancora che sgraditi sul piano personale[5].

Al mobbing si dà il nome di bossing, dunque, quando diventa un vero e proprio strumento di razionalizzazione dell’organizzazione del lavoro.

Un esempio sono i lavoratori di un reparto in dismissione.

Casi di bossing, si verifica di frequente nelle aziende che hanno subito ristrutturazioni, fusioni, esternalizzazioni, ove si creano facilmente una serie di lavoratori inadeguati rispetto a tali processi, non agevolmente licenzialibi.

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[1] Tribunale di Torino sentenza dell’11 dicembre 1999, in Riv. It. Dir. Lav., 2000, II, con nota in G. PERA, La responsabilità dell’impresa per il danno psicologico subìto dalla lavoratrice perseguitata dal preposto (a proposito del c.d. mobbing).

[2] Del Prete R., Ricchezza V., Compendio di diritto del lavoro, sindacale e previdenza sociale, Nel diritto editore, 2021, p. 192.

[3] Corte di Cassazione, sentenza n.1858 del 23 gennaio 2015.

[4] Corte di Cassazione, sentenza n. 23671 del 6 novembre 2014; Corte di Cassazione, sentenza n. 10424 del 14 maggio 2014.

[5] Per Herald Ege, il bossing si distingue dal mobbing, in quanto forma di “terrorismo psicologico” programmato dall’azienda o dai vertici della stessa, come strategia per ridurre, razionalizzare il personale o semplicemente per eliminare una persona indesiderata.