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La prescrizione dei crediti di lavoro

La prescrizione dei crediti di lavoro

Con il termine prescrizione si fa riferimento ad un istituto il cui fondamento va rinvenuto nell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici, produce l’estinzione del diritto soggettivo per effetto dell’inerzia del titolare del diritto stesso, che non lo esercita per il tempo determinato dalla legge[1].

In base alla durata del periodo di tempo previsto dalla legge si distingue può distingue tra:

a) prescrizione ordinaria, che si compie, ex art 2946 c.c., in dieci anni e trova applicazione in tutti i casi in cui la legge non dispone diversamente;

b) prescrizione breve, per la quale sono previsti termini più brevi.

Quando si prescrivono i crediti di lavoro?

Sul punto occorre rilevare che nel corso degli anni diversi sono stati gli orientamenti giurisprudenziali, spesso contrastanti tra loro.

A fugare ogni dubbio è intervenuto la Direzione Centrale Coordinamento Giuridico, dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), con la nota n. 1959 del 30 settembre 2022[2], attraverso cui sono stati forniti alcuni chiarimenti in merito alla decorrenza del termine quinquennale di prescrizione dei crediti da lavoro.

A tal proposito, la Corte di Cassazione, derogando quanto stabilito dall’art. 2935 c.c., in base al quale la prescrizione di un diritto inizia a decorrere dal momento in cui lo stesso può essere esercitato,  aveva espresso l’orientamento secondo cui, per i crediti di lavoro, la decorrenza non operasse necessariamente in costanza di rapporto di lavoro, ritenendo che il lavoratore si potesse trovare in una condizione di “timore”, di sudditanza psicologica tale da indurlo a rinunciare ai propri diritti, almeno fino alla cessazione del rapporto stesso.

Tale situazione necessitava, in concreto, di un accertamento caso per caso.

Tuttavia, un più recente orientamento giurisprudenziale della Cassazione[3] ha ritenuto di superare il precedente orientamento giurisprudenziale secondo cui, per poter individuare il dies a quo della decorrenza del termine di prescrizione, fosse necessaria ed imprescindibile una valutazione caso per caso.

Tale orientamento, secondo la Suprema Corte, è da considerarsi inadeguato, sia perché fonte di incertezza del sistema (affidando ex post all’Autorità giudiziaria, in costanza di giudizio, il compito di ravvisare la stabilità del rapporto), sia in quanto incapace di assorbire, nello spirito di una interpretazione evolutiva del diritto, il cambiamento operato dalle riforme sul sistema della L. n. 300/1970[4].

Pertanto, la Suprema Corte con la recente pronuncia ha stabilito che “il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92/2012 e del D.Lgs. n. 23/2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92/2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro”.

Tale principio non trova applicazione nel pubblico impiego, il cui termine di prescrizione quinquennale inizia a decorrere in costanza del rapporto di lavoro.


[1] A. Geraci, Compendio di diritto civile Nel diritto editore, 2021.

[2] Direzione Centrale Coordinamento Giuridico, dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), nota n. 1959 del 30 settembre 2022.

[3] Corte di Cassazione, sent. n. 26246 del 6 settembre 2022.

[4] Direzione Centrale Coordinamento Giuridico, dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), nota n. 1959 del 30 settembre 2022.