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L’amministrazione di sostegno

L’amministrazione di sostegno: nozione

La legge n. 6 del 2004 ha introdotto l’istituto dell’amministrazione di sostegno al fine di temperare le rigide disposizioni normative previste in materia di interdizione ed inabilitazione.

La disciplina dell’amministrazione di sostegno si applica al sussistere di tre condizioni:

1) infermità mentale o menomazione fisica o psichica, anche parziale o temporanea;

2) impossibilità di curare i propri interessi;

3) idoneità della misura a fornire adeguata protezione;

Dunque, l’amministrazione di sostegno ha la finalità di offrire a chi si trovi nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interesse uno strumento di tutela.

Infatti, il soggetto beneficiario di tale istituto conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la necessaria rappresentanza o l’assistenza dell’amministratore di sostegno.

Procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno

Il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno si propone mediante ricorso innanzi al Giudice tutelare e può essere proposto: dallo stesso soggetto beneficiario (anche se minore interdetto o inabilitato); dai soggetti indicati dall’art. 417 c.c.

Il giudice tutelare, ascolta personalmente la persona cui il procedimento si riferisce e all’esito dell’istruttoria nomina con decreto motivato l’amministratore di sostegno.

Finalità dell’amministrazione di sostegno

A chiarire la finalità dell’amministrazione di sostegno è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17962 dell’11 settembre 2015.

Nel giudizio di interdizione il giudice di merito, nel valutare se ricorrono le condizioni previste dall’art. 418 c.c. per la nomina di un amministratore di sostegno, rimettendo gli atti al giudice tutelare, deve considerare che, rispetto all’interdizione e all’inabilitazione, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma alle residue capacità e all’esperienza di vita dallo stesso maturate, anche attraverso gli studi scolastici e lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Ne consegue che non si può impedire all’incapace, che ha dimostrato di essere in grado di provvedere in forma sufficiente alle proprie quotidiane ed ordinarie esigenze di vita, il compimento, con il supporto di un amministratore di sostegno, di atti di gestione ed amministrazione del patrimonio posseduto (anche se ingente), restando affidato al giudice tutelare il compito di conformare i poteri dell’amministratore e le limitazioni da imporre alla capacità del beneficiario in funzione delle esigenze di protezione della persona e di gestione dei suoi interessi patrimoniali, ricorrendo eventualmente all’ausilio di esperti e qualificati professionisti del settore[1].


[1] A. Geraci, Compendio di diritto civile, Nel diritto editore, 2021.