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Prova della comproprietà dei beni nel giudizio di divisione ereditaria
Nei giudizi di scioglimento della comunione, la prova della comproprietà dei beni dividendi non è quella rigorosa richiesta in caso di azione di rivendicazione o di accertamento positivo della proprietà, atteso che la divisione, oltre a non operare alcun trasferimento di diritti dall’uno all’altro condividente, è volta a far accertare un diritto comune a tutte le parti in causa e non la proprietà dell’attore con negazione di quella dei convenuti, sicché, in caso di non contestazione sull’appartenenza dei beni, non può disconoscersi la possibilità di una prova indiziaria, né la rilevanza delle verifiche compiute dal consulente tecnico, siccome ridondanti a vantaggio della collettività dei condividenti.
A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione, Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, con l’Ordinanza numero 6228 del 2 marzo 2023.
I Giudici della Suprema Corte hanno aggiunto che, pure in presenza di contestazioni dei coeredi, non grava a carico dell’attore l’onere di quella prova rigorosa richiesta nel caso di azione di rivendicazione o di quella di mero accertamento positivo della proprieta’, “poiche’ non si tratta di accertare positivamente la proprieta’ dell’attore negando quella dei convenuti, ma di fare accertare un diritto comune a tutte le parti in causa, quali coeredi” (cfr. Cass. n. 1309/1966).
Con la divisione, infatti, si opera la trasformazione dell’oggetto del diritto di ciascuno, da diritto sulla quota ideale a diritto su un bene determinato, senza che intervenga fra i condividenti alcun atto di cessione o di alienazione (cfr Cass. n. 20645/2005).
La divisione, in considerazione della sua efficacia retroattiva sancita dagli articoli 757 e 1116 c.c., non opera alcun trasferimento di diritti dall’uno all’altro dei condividenti (Cass. n. 17061-2011), ma lascia ciascuno di essi aventi causa dal de cuius (o piu’ in generale, con riferimento a qualsiasi comunione, dal dante causa dei partecipanti alla comunione medesima).